Che i cento fiori diventino un giardino
Paolo Jarre
Dipartimento Patologia delle Dipendenze
ASL TO3 Piemonte
In questo secondo fascicolo sui temi della riduzione
del danno vogliamo dapprima affrontare alcuni
aspetti che esulano in parte dalle abituali discussioni
sulle pratiche di RDD e che permettono di dare un
quadro a tutto tondo di cosa intendiamo per approccio
olistico, unitario e coerente al rapporto tra
consumi psicoattivi e salute.
L’attuale concettualizzazione sul piano culturale e
dei costumi (e su quello normativo, sociale e giudiziario
che ne é sia il riflesso che, in parte, il punto
di partenza) dei differenti consumi potenzialmente
additivi è del tutto dissociata e priva di elementi di
ragionevolezza.
Abbiamo i consumi di sostanze psicoattive legali,
sottoposti a limiti, alcuni dei quali valicabili
con estrema facilità (divieto di vendita sotto i
18 anni/somministrazione di alcol ai minori di 16
anni, divieto di fumo nei locali pubblici e nei pubblici
esercizi, divieto di pubblicità e avvertenze sui rischi
sulle confezioni per i tabacchi), ma di fatto del tutto
liberi, seppure soggetti (il fumo e il bere eccessivo)
alla riprovazione sociale e seppure siano, sia per la
natura della sostanza in sé sia per la vasta platea
dei consumatori, quelli di gran lunga più rilevanti
in termini di impatto sulla salute, e per la morbilità
e per la mortalità.
Accanto ad alcol e tabacco si è andato posizionando
negli ultimi vent’anni il consumo di azzardo lecito
(sembra un ossimoro, l’azzardo è un reato penale …
l’ipocrisia del legislatore è un pugno nell’occhio) che,
dopo decenni di massiccio bombardamento pubblicitario,
comincia ad essere inscritto in una rete di
limiti (anche in questo caso il divieto per i minori,
i regolamenti comunali limitativi il funzionamento
delle slot machines, le avvertenze sui rischi…).
Possiamo dire che il regime normativo entro il quale
stanno inscritti alcol, tabacco e gioco è in linea di
massima, consapevole e, voluta o meno che sia dal
legislatore, di riduzione del danno: nessuna proibizione,
definizione di limiti netti per alcune fasce più
vulnerabili della popolazione (i minori), controllo e
regolamentazione dell’offerta. Per quanto riguarda
il tabacco possiamo arguire che questo inquadramento
abbia contribuito, negli ultimi cinquant’anni
– assieme ad un’inversione dell’immagine sociale
del fumatore (probabilmente fattore ben più rilevante),
dal cowboy della Marlboro all’impiegato intirizzito
sul balconcino dell’ufficio in pieno inverno a
bruciare furtivamente in poche note una sigaretta
– a dimezzare la platea dei consumatori.
Riguardo all’alcol sicuramente l’intervento del legislatore
è stato più blando (le lobbies dei produttori
pesano ben di più) e non ha portato neppure alla
disposizione per legge dell’obbligo di apporre le
avvertenze sulla pericolosità dei consumi sulle etichette
dei prodotti (avvertenze che in Francia, dove
le lobbies dei vignerons non sono meno potenti di
quelle nostrane, ci sono...). La riduzione in atto nei
consumi di alcol nel nostro paese è da attribuire in
misura nettamente più rilevante al mutato pattern
di consumo con il via via sempre maggior prevalere,
ampiamente studiato e descritto, del binge
drinking rispetto al bere regolare; cosa questa che
pone l’evidenza sulla necessità di allestire interventi
di riduzione del danno non tanto rispetto ai rischi
cronici ma a quelli acuti (intossicazioni acute con
episodi anche mortali, incidentalità stradale).
Le politiche pubbliche sul gioco in Italia apparentemente
sono, come detto sopra, da inserire nella
cornice della riduzione del danno; almeno questo
sembrava lo spirito vent’anni orsono quando l’allora
Ministro delle Finanze del Governo Dini, Augusto
Fantozzi (ora Presidente di SISAL, toh...), sdoganò i
primi videopoker; all’inizio degli anni Duemila, con la
gestione governativa da parte di AAMS e operativa
da parte delle concessionarie, sembrava aprirsi un
sano scenario di offerta pubblica di un prodotto, comunque
appetito e ricercato, sino ad allora in gran
parte in mano alla criminalità organizzata. Nel giro di
pochi anni però si è passati dalla riduzione all’amplificazione
del danno, con lo Stato che da regolatore
è diventato spacciatore, con l’offerta progressiva ed
incessante di prodotti sempre più raffinati e diretti
a scovare nuove nicchie di consumo piuttosto che
a contrastare l’offerta illegale.
Il caso della regolamentazione dell’offerta di sesso è
un caso singolare in Italia. Sino all’entrata in vigore
della Legge Merlin si può dire che, a prescindere da
qualsiasi considerazione di carattere morale, vi fosse
un regime di riduzione del danno, confinamento del
fenomeno e controllo pubblico. L’abolizione delle
cosiddette case chiuse, senza ulteriori provvedimenti
che permettessero di incanalare l’attività e
il consumo di sesso a pagamento in modalità meno
rischiose possibili per “commercianti” e consumatori
di fatto ha aperto, oramai oltre cinquant’anni fa,
un irrisolto problema di amplificazione del danno.
Benedetto Croce, in sede di dibattito sulla Legge
Merlin, sostenne che qualsiasi male ci fosse nelle
case di tolleranza era comunque minore che nel
caso fossero state abolite: “Eliminando le case
chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano,
ma si distruggerebbe il bene con il quale
è contenuto, accerchiato e attenuato quel male”.
Ecco, pensiamo un attimo a questa frase di Croce
applicata, ad esempio, ad una DCR, Drug
Consumption Room, per il consumo protetto e sicuro
sul piano sanitario di una droga illegale; calzantissimo
certo, ma assolutamente impensabile.
Nella nostra politichetta italiana ci furono membri
del governo che, uscendo da un Consiglio dei Ministri
che aveva testé approvato un disegno di legge
di inasprimento delle sanzioni per i consumatori di
droghe, si accesero voluttuosamente una sigaretta
e scomparvero in ampie volute di fumo; ci sono
parlamentari che nell’arco della stessa giornata
sono in grado di propugnare l’aumento del carcere
per i tossicodipendenti, la costituzione di zone “a
luce rossa” nella loro città, l’omicidio stradale per
i bevitori al volante che investano qualcuno uccidendolo
e il Casinò regionale nella città rivierasca
vicina. Senza sentirsi schizofrenici.
Non c’è nessuna consapevolezza nella nostra classe
politica della necessità di affrontare i temi dei
consumi additivi esagerati in modo armonico e
unitario, senza strepiti e strumentalizzazioni propagandistiche,
ma con una pragmatica diffusa linea
di riduzione del danno: libertà nei consumi, rigorosa
protezione dei vulnerabili, confinamento delle
scene di consumo in aree circoscritte, organizzate e
vigilate, tutela sanitaria dei consumatori problematici,
divieto di proselitismo e di pubblicità, sistema
sanzionatorio efficace e rapido per i trasgressori,
imposizione fiscale rigorosa con aliquote alte per
i commercianti (che commerciano tutto sommato
la merce più facile da vendere e che fidelizza più
facilmente il cliente, il piacere...).
In questa cornice si collocano gli interventi sulla
riduzione del danno nel campo dell’alcol, del gioco
d’azzardo, del tabacco e del sesso.
I contributi sull’emergenza epatite C vogliono rimettere
al centro dell’attenzione un tema estremamente
sottovalutato anche nei servizi stessi; i più
anziani ricorderanno l’enorme vetrina mediatica
offerta al diffondersi e al propagarsi dell’infezione
HIV a metà degli anni Ottanta e quanto essa abbia
contribuito, con tutte le distorsioni giornalistiche,
al varo della Legge 135/1990 e alla costruzione di
un sistema di presa in carico e di cura efficace per
l’AIDS. Nulla di simile è stato fatto per l’epatite C:
sottotematizzata per l’incerto collegamento con il
contagio di natura sessuale (che tanto ha contribuito,
invece, alla ribalta per l’HIV), per il differimento
nel tempo delle conseguenze gravi (cirrosi,
carcinoma epatico) per la salute, per l’isolamento
delle persone colpite, non più accompagnate e
sostenute da una dimensione collettiva, epocale,
identitaria della propria tragedia.
La presentazione delle esperienze concrete della
provincia di Torino (non vi sono tutte le esperienze
di riduzione del danno di quest’area geografica ma
quelle che, a giudizio di chi scrive, meglio contribuiscono
a descrivere un panorama articolato e differenziato;
ad esempio, non è descritta l’esperienza
di outreach nei luoghi di rave dell’unità di strada
SAR-Neutravel che però ha avuto una dimensione
regionale) aiuta a capire quale ricca articolazione
può avere l’offerta nel campo della riduzione
del danno, sia sul versante sanitario “tradizionale”
(trattamenti con oppioagonisti a bassa soglia
di accesso, fornitura di dispositivi per il consumo
endovenoso, presidi per la prevenzione dell’overdose...)
sia su quello, molto meno noto, sociale.
E qui entrano in campo le nuove esperienze di riconversione
delle strutture residenziali non più
utilizzabili come comunità “terapeutiche” per cinquanta/
sessantenni al settimo-ottavo inserimento,
ma come razionali strumenti di sollievo e tregua.
Snelli, efficaci, rispettosi ed economici. Ed anche
il posizionamento degli interventi “preventivi”
non solo sul difficilmente difendibile confine del
“consumo zero” ma su quello ben più realistico
per alcol, cannabis, tabacco del consumo attento.
In ultimo il contributo di Stefano Vecchio, che non
delinea precise strutture organizzative per dar
corpo concreto a quanto argomentato in questi
ricchi due fascicoli, ma tratteggia scenari mobili e
“biodegradabili” in linea con i tempi e le modalità
della “società liquida”.
Nel 1956 il presidente cinese Mao Zedong lanciò la
cosiddetta campagna dei cento fiori – “Che cento
fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino”
– ad inaugurare una stagione di liberalizzazione
della vita culturale, politica, economica e sociale
(ahimè seguita da una immancabile successiva epoca
repressiva); nel nostro piccolo, nei tanti cortili
della riduzione del danno in Italia forse anche più di
cento fiori sono nati in questi trent’anni. Di tutte le
specie, in particolare di quelle del cosiddetto terzo
paesaggio, il giardino involontario.
Possiamo dire che ora, dopo tanti anni, sia giunto
il tempo che i giardinieri esperti si mettano all’opera
per radunare i tanti fiori in un unico grande
giardino. Roccioso, ovviamente.