Overdose da oppioidi: una minaccia sempre presente
Salvatore Giancane
Alcuni fatti di cronaca che si sono succeduti negli
ultimi mesi (e che hanno riguardato persone
giovani) hanno riportato all’attenzione dell’opinione
pubblica il problema della diffusione della
dipendenza da eroina e della sua complicanza più
temibile: il decesso per overdose. Le overdose
fatali si concludono tutte tragicamente, con la
morte prematura di una persona. Negli anni abbiamo
imparato che questi decessi possono avere
risvolti agghiaccianti: persone che nessuno cercava
vengono ritrovate mummificate oppure ridotte
a un cumulo di miseri resti. Cadaveri smembrati
dai cani randagi oppure gettati come rifiuti nella
spazzatura. Casi che si prestano ad essere trattati
dai media con sensazionalismo e pruderie e con
la diffusione di informazioni inutili, a volte francamente
dannose.
Tutte le overdose fatali altro non sono se non il
tragico esito finale di una sfortunata catena di
eventi banali a rischio, tutti prevenibili, a patto
che ogni rischio venga tenuto in debita considerazione.
Compreso quello derivante dalle proprie
pratiche. Tutti gli approcci terapeutici possono
avere effetti collaterali e quelli che privano della
tolleranza possono anche essere letali. Per questo
motivo, la riflessione avviata dalle comunità
di Bologna sul rischio di morte associato al programma
comunitario, rappresenta un argomento
innovativo e della massima importanza, soprattutto
perché frutto di una riflessione interna. Così
come è stata un’innovazione assai utile (e che ha
aumentato di molto le opportunità terapeutiche)
l’apertura delle comunità al trattamento farmacologico
con agonisti, che aumenta la ritenzione
nel percorso e riduce il rischio di morte. Non vi è
ormai alcuna ragione per considerare il trattamento
residenziale e quello farmacologico due opzioni
alternative tra loro. La pratica clinica degli ultimi
anni ha dimostrato che la terapia rende possibile
il percorso comunitario di molte più persone e
migliora l’adesione al programma, oltre che aumentarne
la sicurezza.
Le persone in overdose da eroina possono essere
resuscitate in pochissimi minuti dal naloxone,
un farmaco efficace e dal costo irrisorio. L’unico
farmaco iniettabile che si può acquistare liberamente
in farmacia, senza ricetta medica. Se c’è
stato un decesso, la vittima era da sola oppure,
se in compagnia, qualcuno non ha chiamato in
tempo utile i soccorsi. Questo comportamento
aberrante (che costituisce anche un grave reato) è
sempre più frequente, come difesa dalle indagini
che seguono un episodio di overdose, anche non
fatale. Salvare una vita è certamente molto più
importante che punire chi ha ceduto una dose. È
possibile interpretare le nostre norme ‘premiando’
chi allerta subito i soccorsi e si trattiene sul
posto fino al loro arrivo, prestando assistenza
secondo le proprie capacità oppure è necessario
aggiornare le nostre Leggi?
La mortalità acuta è inferiore fra coloro che sono
in carico ai servizi ed effettuano una terapia. Vi
sono indizi preoccupanti, che portano a pensare
che l’uso di eroina sia sempre più diffuso e che il
‘sommerso’ sia più vasto che in passato. A fronte
di ciò, i servizi hanno perso in parte la loro attrattiva.
Per questo è necessario aggiornare l’offerta
di cura, soprattutto nei confronti dei più giovani,
anche alla luce dei dati drammatici sull’aumento
della produzione di oppio e di quelli sull’iniziale
diffusione degli oppioidi sintetici. L’Italia possiede
una rete di servizi pubblici e privati per le dipendenze
che non ha pari al mondo, ma è innegabile
che il livello di attenzione sia calato significativamente,
malgrado proprio sull'”emergenza eroina”
sia nato il nostro sistema di cura. Pertanto, per
ridurre il rischio di essere travolti dagli eventi futuri,
è urgente riportare questo tema all’attenzione
del dibattito scientifico e culturale, riannodando
i fili di un cammino interrotto e aggiornando le
conoscenze alle nuove sfide.
Questo numero della rivista è una tappa di questo
percorso.