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Neuroetica e dipendenze


Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati SISSA - Area Neuroscienze Trieste

Negli ultimi quindici anni circa, il concetto di dipendenza ha subito un profondo slittamento teorico. I sintomi della tolleranza e della crisi di astinenza, tratti cardinali nella classica definizione biomedica della dipendenza, hanno assunto un aspetto secondario. Elemento centrale nella attuale concettualizzazione della dipendenza è la perdita del controllo volontario del comportamento come effetto di un apprendimento patologico. La dipendenza è diventata cioè un disturbo cognitivo. La dipendenza rappresenterebbe un disordine dell’apprendimento strumentale causato dalla reiterata attivazione del sistema di ricompensa cerebrale da parte delle sostanze d’abuso, una patologia dei processi motivazionali e decisionali. La ripetuta associazione tra ricompensa indotta dalle sostanze e stimoli associati trasformerebbe nel tempo questi ultimi in elementi predittivi di un premio. Quando questo tipo di apprendimento si stabilisce, gli stimoli associati alle sostanze si caricano di una intensa valenza incentivante e la loro presenza percepita può portare all’innesco degli schemi comportamentali del consumo, sfuggendo ai controlli inibitori. Esistono ormai chiare evidenze di tipo neurobiologico sufficienti a considerare la dipendenza come una patologica occupazione da parte delle sostanze d’abuso dei meccanismi nervosi dell’apprendimento e della memoria che naturalmente servono a modellare le decisioni e i comportamenti finalizzati alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, attraverso i processi di ricompensa. Ad oggi coesistono diverse ipotesi sui particolari meccanismi patogenetici della dipendenza come malattia. Tuttavia, a dispetto di alcune differenze sui meccanismi in gioco, tutte concordano sul fatto che il segno cardinale di questa condizione è la diminuzione del controllo del comportamento volontario, sul fatto che, in sostanza, la dipendenza è un disordine cognitivo. Questa nuova caratterizzazione della dipendenza fornisce straordinari motivi di interesse per gli studiosi di scienze cognitive e di neuroetica. La dipendenza diventa in questo caso una sorta di experimentum naturae, un caso di studio esemplare, straordinariamente descritto a livello psicologico, psichiatrico, neurobiologico che dimostra e amplifica gli elementi in gioco nei processi cognitivi, tra cui soprattutto l’apprendimento, la memoria, il decision-making, i meccanismi di controllo delle emozioni e degli appetiti, il ruolo dei determinanti sociali nell’autocontrollo. Allo stesso tempo però, lo sguardo, le analisi e le riflessioni degli studiosi di neuroetica e di scienze cognitive possono offrire una potente gamma di punti di vista e di strumenti teorici ed esplicativi oggi praticamente sconosciuti agli specialisti delle dipendenze, contribuendo ad articolare la comprensione dei tratti che caratterizzano tali comportamenti patologici e così a intervenire su di essi più efficacemente. Questo numero di Medicina delle Dipendenze è pensato soprattutto in vista di questo avvicinamento e incontro di conoscenze e competenze, oggi purtroppo oltremodo distanti. I lavori qui presentati sono il frutto delle discussioni e dei laboratori tenutisi nell’edizione 2014 della Scuola di Neuroetica della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Una straordinaria e fertile occasione di confronto e dibattito tra filosofi della mente, psicologi, neuroscienziati, eticisti, clinici delle dipendenze, promossa congiuntamente dalla Società Italiana Tossicodipendenze, dalla Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze, dalla Società Italiana di Storia, Filosofia e Studi Sociali della Biologia e della Medicina. Una dimostrazione che questo dialogo interdisciplinare, questa reciproca fertilizzazione teorica non sono solo possibili, ma sono stati già avviati.