Un mercato in evoluzione
Raimondo Maria Pavarin
Dalla letteratura sociologica emerge che nel corso
degli ultimi trent’anni l’uso di cannabis ha subito
un processo di normalizzazione, come dimostrato
da elevati tassi d’uso, aumento della tolleranza
verso i consumatori e maggiore accettazione
sociale. A partire dalla seconda metà degli anni
Novanta vi è stato un rapido incremento sia
della disponibilità di molte sostanze illegali sia
del numero di utilizzatori, l’età di primo uso si
è abbassata e tra i più giovani si sono ridotte
le differenze nei tassi di consumo tra maschi e
femmine e tra aree urbane e rurali. Diversamente
dal passato, quando l’uso di sostanze illecite era
in gran parte attribuito a patologie individuali o
sociali, ora il consumo viene interpretato come
parte integrante della vita dei giovani, all’interno di
una più ampia ricerca del piacere, dell’eccitazione
e del divertimento. Gli utilizzatori vengono
percepiti come normali e non necessariamente
devianti, e mantengono l’accesso alla sostanza
tramite non estese reti amicali che facilitano la
diffusione culturale del consumo.
Nel mondo occidentale la marijuana è stata per
lungo tempo un marker di identità culturale che
ha resistito alla maggior parte delle norme che
ne hanno sanzionato l’uso. I rituali, i simboli e le
storie della cultura contemporanea della cannabis
si sono formati e intrecciati con le ideologie dei
movimenti sociali e culturali giovanili degli anni
Sessanta e Settanta. In buona parte dei Paesi
occidentali, la marijuana è stata introdotta e
diffusa da giovani il cui intento era l’opposizione
politica, che stavano spesso fuori dal sentiero
dei valori della cultura più ampia: l’introduzione
della cannabis coincide con i grandi cambiamenti
culturali di quel periodo. Nonostante l’uso
medico sia diventato più importante, l’influenza
di tali movimenti sociali è ancora rilevante per
gli assuntori odierni, sia quando consumano, sia
quando provano a comprendere i significati del
proprio consumo.
Un punto importante è che la cultura della
cannabis non riguarda solo l’uso come sostanza
ricreativa, ma che anche l’estetica e i piaceri
inerenti all’atto della coltivazione giocano un
ruolo importante. Infatti, per la maggioranza
degli auto-produttori la coltivazione non riguarda
solo il denaro ma anche l’amore per la pianta di
marijuana. Il significato culturale come pianta è
ulteriormente riaffermato dal riconoscimento
degli usi sociali, medici e produttivi della marijuana
al di là delle sue proprietà di sostanza ricreativa
e molti hanno trovato importante estendere la
cultura che circonda il prodotto finale al vero e
proprio processo di coltivazione.
I mercati della cannabis non possono
essere compresi senza vedere l’importanza
dell’associazione simbolica tra cannabis e norme
e valori altruistici, anti-business e non commerciali
e, in ciò che può essere concettualizzato come
cultura della cannabis, il profitto è disapprovato
e l’identità del venditore respinta. I rischi posti
dall’assenza di garanzie sulla qualità del prodotto
impongono pressioni sui mercati aperti (aperti a
qualsiasi acquirente e senza ostacoli all’accesso)
per trasformarsi in mercati chiusi, in cui i venditori
e gli acquirenti fanno affari solo se si conoscono
e si fidano reciprocamente. La maggior parte dei
venditori e degli acquirenti preferisce questo tipo
di mercato, perché il rischio di attirare l’attenzione
della polizia è notevolmente ridotto.
Tali attività, che comportano la vendita di cannabis
anche su base non commerciale, si basano su uno
scambio di sostanze con profitto limitato o del
tutto nullo che si verifica tra amici o conoscenti.
In questo lavoro collettivo, cui hanno contribuito
anche due studiosi europei, affronteremo il tema
del mercato sociale della cannabis a partire da
approcci diversi (sociologico, medico, economico
e giuridico), ma tra loro convergenti nel descrivere
una realtà in cambiamento che richiede un
adeguamento della normativa ad oggi vigente.
Buona lettura.