Il craving: stato dell’arte e prospettive future
Icro Maremmani
La tossicodipendenza è malattia cronica
ad andamento recidivante che comporta
modificazioni di funzioni d’organo tali da dar
luogo a sintomi sia somatici che comportamentali
e compromette fortemente la qualità di
vita del paziente. L’andamento recidivante
presuppone delle fasi di remissione anche di
completo benessere e di durata imprevedibile,
ma con un’elevata probabilità di ricaduta.
Fattori ambientali costituiscono la causa più
frequente scatenante sia delle remissioni che
delle ricadute. Il tossicodipendente ha sempre
coscienza del suo stato di necessità per una
sostanza potenzialmente o già di fatto per
lui nociva. Questa consapevolezza, che viene
espressa dall’interessato in termini più o meno
ambigui, spesso manipolatori anche verso se
stesso, non esercita alcun controllo sui suoi
comportamenti tossicomanici. Ma questa non
è l’opinione dominante. Per ancora troppe
persone il tossicodipendente è sempre in grado
di controllare il consumo di sostanza che utilizza
per sua scelta libera e cosciente. In altre parole,
il tossicomane è del tutto responsabile delle sue
azioni e della sua condizione. Lo stesso genere
di ragionamento porterebbe a considerare
responsabile l’ossessivo delle sue ossessioni e il
fobico delle sue fobie.
Il sintomo caratteristico della tossicodipendenza è
il craving. Il significato letterale di questo termine
è “voglia” e suoi sinonimi sono desiderio e
appetizione. Tutti questi termini non contemplano
la compulsività, nel senso anglosassone della
parola, cioè l’ineluttabilità, insita nella definizione
clinica. Nella clinica il craving è impulso a operare
sul quale il paziente non ha capacità di controllo.
Il craving non è un sintomo primario, ma appreso.
Infatti, essendo impulso ad agire, anche se
compulsivamente, per ottenere la sostanza da
consumare, esso deriva da un comportamento
operante legato all’effetto rinforzante della
sostanza.
In laboratorio il comportamento di appetizione,
che viene instaurato nell’animale, può essere
di diversa natura e, in genere, è preceduto da
un evento ambientale che assume il ruolo e la
definizione di stimolo discriminante. La sequenza
stimolo discriminante-comportamento operante
non ha il carattere di ineluttabilità quale appare
nella sequenza stimolo-riposta di un riflesso; nel
comportamento operante lo stimolo comporta
solo un aumento della frequenza di risposta.
Nel primo caso l’organismo non è capace di
prevenire la risposta, nel secondo caso appare
in grado di scegliere se emettere o non il
comportamento operante una volta percepito
lo stimolo discriminante. Se, però, il rinforzo al
comportamento operante è quello derivato
dall’uso di una sostanza come la cocaina o l’eroina,
la frequenza con cui la risposta operante segue lo
stimolo discriminante può arrivare ad assumere
il carattere di ineluttabilità, come se si trattasse
di un riflesso stimolo-risposta. In questo caso
la spinta ad agire è divenuta superiore a quella
indotta da qualsiasi altro rinforzo e non è sminuita
dal rumore di fondo di qualsivoglia evento
esterno. L’impulso o spinta è diventato sintomo
cioè craving, il comportamento che ne deriva è
compulsivo, cioè incontrollabile, e il consumatore
è diventato tossicodipendente.
La spinta ad un comportamento operante dipende
dallo stato di necessità e dall’emotività. La spinta
della fame, dell’appetito sessuale o di altre forme
di appetizione per il soddisfacimento di necessità
connesse alla conservazione dell’individuo e della
specie dipende dal grado di deprivazione, che
determina lo stato di necessità. Un organismo
mangia se ha fame, si accoppia se ha appetito
sessuale e la deprivazione di cibo e di sesso
determinano la condizione di fame o di appetito
sessuale che comportano l’atto consumatorio.
Esiste una sorta di gerarchia in queste spinte
comportamentali. Un cane affamato può rifiutare
il cibo se impegnato ad affrontare un altro cane
che minaccia di invadere il suo territorio o se
impegnato a corteggiare una femmina in calore.
Ma, cessata la risposta emotiva iniziale, in
entrambi i casi non rinuncerà a mangiare.
L’atto consumatorio del cibo non è solo connesso
allo stato di deprivazione, ma può essere sollecitato
nell’animale sazio da un cibo particolarmente
palatabile, come nell’uomo avviene quando a fine
pasto viene presentato il dessert. La condizione di
fame indotta dal cibo palatabile nell’organismo non
deprivato è mediata da un aumentato tono del
sistema oppioidergico e la somministrazione di un
antagonista oppioide, che non agisce sul consumo di
cibo di un animale deprivato, la previene. Il piacere
appartiene, quindi, anche alla sfera dell’emotività,
da tenere distinta per quanto possibile da quella
dello stato di necessità. L’efficacia delle emozioni
sul controllo del comportamento è nell’uomo
indiscutibile. Si potrebbe, quindi, dire che un
comportamento operante può essere determinato
da entrambe queste spinte, così come è vero che
un’emozione intensa può ridurre fino ad annullare
una spinta comportamentale e viceversa.
Le sostanze usate a scopo non medico sono
accomunate dall’effetto stimolante sui centri della
gratificazione, cioè dalla loro capacità di provocare
una sensazione di piacere. In quanto inducono
un’emozione gradevole esse sono in grado di motivare
l’organismo a operare per ripeterla. Ciascuna di
queste sostanze produce piacere in maniera dose
dipendente e secondo una curva dose risposta a
campana: cioè dosi troppo elevate determinano
effetti che riducono fino ad annullare quelli di dosi
euforizzanti ottimali. Inoltre, le caratteristiche del
piacere prodotto variano da sostanza a sostanza
come intensità, come sensazioni soggettive e come
meccanismo d’azione, anche se tutte inducono un
aumento di dopamina extraneuronale nell’area più
esterna del nucleus accumbens. Nella fase definita
della luna di miele i comportamenti di appetizione
e consumazione sono giustamente paragonati a
quelli di un innamorato felice, la motivazione che
determina la frequenza di detti comportamenti è
sostenuta dall’aspettativa di un piacere garantito
dalla consumazione della sostanza. L’unico stimolo
discriminante capace di iniziare il comportamento
operante di appetizione è la notizia della disponibilità
della sostanza. In questa fase il consumatore
mantiene il controllo sull’uso della sostanza. La
durata di questa fase è cruciale per lo strutturarsi,
nel consumatore, dell’illusione che tale controllo non
verrà mai perso e che un semplice atto di volontà
possa riattivarlo. Ma la luna di miele lentamente si
estingue col comparire della dipendenza e dei primi
sintomi di astinenza. Alla ricerca del piacere (reward
craving), che non si estinguerà mai, si unisce la spinta
dovuta alla deprivazione, la cui intensità è correlata
a quella dei sintomi di astinenza (relief craving).
A questo punto, i sintomi fisici determinano la
spinta comportamentale, quelli psichiatrici (ansia,
agitazione, demoralizzazione) caricano di emotività sia
il reward craving che il relief craving. La suscettibilità
a discriminare gli stimoli ambientali che segnalano la
disponibilità della sostanza si accentua a causa dello
stato di necessità; i comportamenti che ne derivano
sono sotto il controllo di una miscela di emotività e
stato di necessità che si esprimono come sintomi
fisici e psichiatrici che il paziente vive come malessere
intollerabile in quanto istantaneamente eliminabile
con la sostanza. Per cui l’operatività volta a ottenere
la sostanza conosce pochi limiti alla sua espressione
e facilmente assume il carattere aggressivo della
manipolazione, dell’insistenza eccessiva, fino alla
violenza fisica. Il tono dell’umore si mantiene basso
e contrasta con la determinazione e l’efficacia
dell’azione espressa.
Il craving per la sostanza diviene, a questo punto,
compulsivo nel senso anglosassone della parola,
ossia non può essere fermato. Nella psicopatologia di
stampo europeo meglio sarebbe dire discontrollato. I
comportamenti appetitivi di un eroinomane hanno,
a questo punto, la stessa potenza espressiva dei
comportamenti di un paziente fobico-ossessivo o,
addirittura, delirante.
Nonostante che il craving rappresenti il sintomo
cardine del disturbo da uso di sostanze, solo il DSM-
5 lo pone fra i criteri diagnostici di malattia, non
definendolo nei suoi aspetti comportamentali che
probabilmente variano da sostanza a sostanza e
dovrebbero essere obbiettivabili sul piano clinico.
L’esperienza rimane soggettiva e quantificabile solo
in base all’esperienza del soggetto relativamente al
suo passato.
Nel futuro occorrerà dare maggiore risalto alle
covariate comportamentali del craving con speciale
riferimento all’alcol, alla cocaina e all’eroina.
Analizzare i comportamenti sostenuti dal craving
può essere, infatti, una valida alternativa verso una
oggettivazione e standardizzazione del fenomeno
craving. I comportamenti scelti dovrebbero essere
sensibili e permettere di indirizzare il colloquio
clinico verso aspetti meno soggettivi dell’esperienza
tossicomanica. Dovrebbero, inoltre, consentire di
indagare anche aspetti del craving non riconosciuti tali
dal paziente, evitando, nella pratica clinica, di limitare
l’uso di dosaggi anti-craving. Nel monitoraggio del
paziente dovrebbero, infine, rappresentare un
valido punto di appoggio per verificare l’efficacia
del trattamento, discriminando la piena risposta
terapeutica del soggetto dalla semplice riduzione
del danno. Soggetti che continuino a presentare,
durante il trattamento, comportamenti da craving
dovrebbero essere rivalutati e i regimi terapeutici
dovrebbero essere rivisti.
Il relief craving non andrebbe solo correlato alla
sindrome d’astinenza primaria rappresentando
l’astinenza secondaria o ipoforia la via comune della
malattia e lo stimolo principale per la ricaduta. Quindi,
dopo il superamento delle prime fasi di una sindrome
d’astinenza primaria, il proseguimento della terapia
agonista consentirà di modulare il più possibile i
sintomi residui. Queste molecole potrebbero avere
un maggiore impatto clinico se venissero utilizzate
in una seconda fase dopo il superamento della
sindrome da astinenza acuta, nei pazienti resistenti e
che non rispondono al trattamento, quando i sintomi
astinenziali siano ormai risolti o, comunque, ridotti.
Un’ulteriore sfida da affrontare è rappresentata dalla
tendenza ad escludere i pazienti tossicodipendenti
dalle sperimentazioni cliniche di farmaci anticraving
per il rischio spesso solo ipotizzato, senza
dati oggettivi, che questi farmaci possano avere
un impatto negativo sulla patologia somatica. In
particolare, ulteriori sforzi dovrebbero essere fatti
sia per testare nei pazienti con patologie d’organo
nuovi farmaci che per valutare l’impiego clinico di
quelli già disponibili.