I comportamenti gratificanti e le loro proprietà tossicomanigene
Donatella Marazziti e Armando Piccinni
L’OMS definisce il concetto di dipendenza
patologica come quella condizione psichica,
talvolta anche fisica, derivante dall’interazione
tra un organismo vivente e una sostanza tossica,
e caratterizzata da risposte comportamentali
e da altre reazioni, che comprendono sempre
un bisogno compulsivo di assumere la sostanza
in modo continuativo o periodico, allo scopo di
provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il
malessere della sua privazione.
Per quanto le ultime versioni del Manuale
Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
(DSM-5) e del Manuale di Classificazione delle
Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali
continuino a proporre una nozione di “dipendenza”
riferita in modo esclusivo all’assunzione di
sostanze ad attività psicotropa, questa viene
sempre più frequentemente utilizzata anche
nell’inquadramento di particolari entità sindromiche
derivanti dallo sviluppo di comportamenti sviluppati
in assenza dell’assunzione di qualsiasi sostanza.
In effetti, nella stesura del DSM-5 l’American
Psychiatric Association aveva originariamente
proposto l’inserimento di un nuovo capitolo
intitolato “Dipendenze comportamentali”, ma
non è stato incluso. Per la prima volta, tuttavia, il
manuale comprende, insieme ai disturbi da uso
di sostanze, anche il disturbo da gioco d’azzardo,
che precedentemente era classificato tra i disturbi
del controllo degli impulsi. Un’altra dipendenza
comportamentale, la “Internet addiction”, viene
inclusa nella sezione III, riservata alle condizioni
che richiedono ulteriori ricerche prima di essere
formalmente considerate ‘disturbi’. L’ipotizzata
“ipersessualità”, da molti considerata un altro nome
per la dipendenza dal sesso, è stata invece respinta
dai curatori del nuovo manuale. In ogni caso, il DSM-
5 elimina la confusione fra i due termini: tutte le
dipendenze e i relativi problemi rientrano nella
categoria “disturbi da uso di sostanze” in un capitolo
intitolato “Disturbi da dipendenza e correlati all’uso
di sostanze”. Il DSM-5 rafforza inoltre i criteri per
la diagnosi di questi disturbi, graduandoli in lievi,
moderati o gravi. Mentre nel DSM-IV per una
diagnosi di abuso di sostanze era richiesto un solo
sintomo, nella nuova edizione un disturbo da uso
di sostanze lieve ne richiede almeno due.
Le “nuove dipendenze”, o “dipendenze senza
sostanza” si riferiscono a una vasta gamma di
comportamenti anomali, tra cui gioco d’azzardo
patologico, shopping compulsivo, uso problematico
di Internet (PIU - problematic Internet use),
dipendenza dal lavoro (workaholism), dipendenza
da sesso (sex-addiction) e dalle relazioni affettive
(dipendenza affettiva), e alcune devianze del
comportamento alimentare (es. ortoressia)
o dell’allenamento sportivo (es. sindrome da
overtraining). Alcuni dei disturbi, come i primi tre
sopra citati, sono stati ben descritti nella letteratura
scientifica. Per altri invece, come la dipendenza
da lavoro, la dipendenza da sport e l’ortoressia,
è necessario un ulteriore approfondimento. Va
sottolineato che ciascuna di queste entità offre una
modalità di presentazione assolutamente originale,
facilmente individuabile sul piano clinico e quindi
ampiamente giustificabile come dignità nosografica
autonoma. Quanto alla proposta di raggrupparle
in una categoria denominata “dipendenze senza
sostanza”, queste, seppur molto eterogenee
sul piano descrittivo, sono anche fortemente
accomunate da un elemento centrale caratterizzato
dal coinvolgimento in un’abitudine ripetitiva e
persistente, progressivamente disfunzionale, in
grado di compromettere in modo rilevante la
qualità della vita. Altri elementi rilevabili sono
la progressiva e ineludibile perdita del controllo
sul comportamento nonostante le conseguenze
negative che ne derivano, l’impossibilità di
procrastinare il soddisfacimento del bisogno, lo
stato iniziale di euforia conseguente alla messa in
atto del comportamento. Infine, come già noto per
le classiche sindromi da dipendenza da sostanze
psicoattive, sono chiaramente osservabili veri e
propri fenomeni di craving, tolleranza e astinenza.
Queste osservazioni, se da un lato supportano la
possibile individuazione di una categoria nosografica
a sé stante, dall’altro sembrano suggerire la necessità
di approfondire la conoscenza delle interrelazioni
con l’area delle dipendenze da sostanza. Alcuni
dati neurobiologici, quali l’evidenza di alterazioni di
funzionamento del circuito dopaminergico mesolimbico,
la riduzione dei recettori dopaminergici di tipo D2,
la presenza di anomalie corticali orbitofrontali e del
cingolo, la presenza di varianti genetiche del recettore
per i cannabinoidi CB1, l’up-regulation del gene BDNF,
le alterazioni dell’attività della leptina, sembrano
indicare infatti l’esistenza di una stretta relazione
etiopatogenetica tra i due sottotipi di dipendenza.
Cibo, sesso, ma anche gioco d’azzardo, shopping
compulsivo, iperlavoro, etc., diventano ‘esperienze’
che attivano i circuiti responsabili della gratificazione
in modo analogo a quanto accade nella gratificazione
indotta dal consumo di sostanze psicoattive. Le sindromi
da dipendenza, comportamentali e da sostanza,
potrebbero dunque essere sottese da un comune
processo derivante dall’alterato funzionamento dei tre
sistemi neurofunzionali “motivazione-gratificazione”
(con conseguente cristallizzazione di meccanismi
di rinforzo negativo), “regolazione degli affetti”
(con comparsa di progressiva incapacità di tollerare
emozioni dolorose, che vengono ‘curate’ tramite il
comportamento) e “inibizione comportamentale”
(con incapacità di interrompere l’esecuzione di
un comportamento palesemente infruttuoso e
autodistruttivo). Le osservazioni neuropsicologiche,
partite dall’osservazione clinica delle somiglianze tra
dipendenze comportamentali e da sostanze psicoattive,
hanno evidenziato rilevanti carenze delle funzioni
esecutive complesse, quali capacità di pianificazione,
modulazione, attenzione, inibizione della risposta,
elaborazione di strategie di problem solving, con
tendenza alla perseverazione nell’errore, all’esasperata
sensibilità alla ricompensa, al mantenimento di livelli
anomali e aumentati di sovraeccitazione. È sempre
presente la necessità improrogabile di soddisfare un
piacere di tipo consumatorio, mentre in parallelo il
progressivo aggravamento del quadro clinico, alterando
il corretto funzionamento dei sistemi di reward, rende
impossibile l’attesa di un piacere posticipato. Il deficit
di autocontrollo è stato associato alle aree frontali del
cervello, in particolare nella corteccia prefrontale, in
relazione anche con quanto osservato nella dipendenza
da alcol e oppiacei. Gli studi biochimici e genetici hanno
suggerito la presenza di anomalie dei principali sistemi
catecolaminergici (dopaminergico, serotoninergico,
noradrenergico) e del sistema beta-endorfinergico,
evidenziando anche una forte correlazione tra
la presenza di queste anomalie periferiche e il
malfunzionamento di alcuni geni.
Nonostante la mole di dati clinici, neuropsicologici,
biochimici e genetici, l’area delle dipendenze
comportamentali evidenzia ancora numerose aree
di criticità. È infatti ancora comunque insufficiente
la determinazione dei rapporti intercorrenti tra
meccanismi fisiopatologici ed eziopatogenesi; non
sono disponibili dati epidemiologici validi per un
corretto dimensionamento di questi fenomeni; vi è una
eterogeneità degli strumenti utilizzati per la valutazione
diagnostica, dei trattamenti e dell’esito degli interventi,
da cui deriva l’indisponibilità di specifici protocolli di
prevenzione, né programmi di intercettazione e
diagnosi precoce dei soggetti vulnerabili, né interventi
standardizzati di cura e riabilitazione; non è ancora
possibile definire i livelli essenziali di assistenza (LEA)
scientificamente orientati; in alcuni casi (es. nel
gioco d’azzardo) è consentita una pubblicità troppo
invadente, persuasiva e incentivante, portatrice di
messaggi ingannevoli. In Italia non esiste un censimento
preciso delle strutture pubbliche e del privato sociale
accreditate dalle regioni, con un computo del carico
assistenziale e dei costi. Come è dunque facilmente
intuibile, le implicazioni derivanti da un più raffinato
inquadramento nosografico, da un approfondimento
delle conoscenze neurobiologiche e dall’individuazione
di prospettive terapeutiche selettive e innovative non
si limitano all’incremento della cultura medica in sé,
ma sconfinano nella più vasta dimensione del wellness
familiare e sociale. È dunque fondamentale studiare in
modo analitico le intercorrelazioni di queste sindromi,
affinare le conoscenze in termini di comorbidità
intraepisodica e interepisodica lifetime, valutare se e
come l’esordio di altri disturbi psichiatrici possa favorire
la comparsa di questi anomali pattern comportamentali,
individuando eventuali modalità sequenziali di esordio
di patologie mentali apparentemente non collegate. Le
dipendenze ‘senza sostanza’ rappresentano dunque una
delle più rilevanti sfide della psichiatria contemporanea.
L’auspicio per il futuro è la costruzione di un approccio
standardizzato, omnicomprensivo e multidisciplinare,
in grado di coordinare la ricerca neurobiochimica e
genetica, il riassetto cognitivo-comportamentale,
l’analisi dei fattori socioambientali condizionanti
(di rischio o di resilienza), la programmazione e
l’organizzazione dei sistemi sociosanitari, i necessari
atti politici e le opportune modifiche legislative.