Se è vero che i comportamenti tossicomanici, globalmente considerati, colpiscono di più l’uomo, è altrettanto vero che quando colpiscono la donna, si manifestano in tutta la loro gravità, sul piano della salute fisica, psichica e del degrado sociale. La biografia delle donne con problemi di dipendenza è spesso intrecciata di abbandono, violenza, abuso, riprovazione sociale. Peraltro, ci sono dipendenze comportamentali, come quella riguardante il cibo, che sono prevalenti nel sesso femminile. Le donne tendono a cominciare più tardi l’uso di sostanze, tuttavia la progressione verso la dimensione patologica è più rapida. Le differenze nella frequenza, nella gravità e nelle conseguenze dei comportamenti di addiction fra i due sessi possono essere ascritte a fattori biologici, psicologici e sociali; a fattori innati e a fattori acquisiti. Di fatto, le influenze e i condizionamenti reciproci tra i fattori implicati rendono difficile la valutazione del peso esercitato da ciascuno di essi. D’altra parte, mentre l’esistenza di un continuum fra le espressioni comportamentali e culturali del genere maschile e femminile costituisce un patrimonio acquisito della psicologia e della sociologia, anche la più grossolana divisione fra uomini e donne valutata sul piano esclusivamente biologico del sesso scricchiola fortemente: l’epigenetica ci insegna che le differenze biologiche sono influenzate e modificate da quelle culturali, per cui anche la distinzione fra genere e sesso mostra oggi la sua artificiosità. A fronte della riduttività dell’approccio dicotomico, maschio/femmina, al problema delle dipendenze o più in generale della salute delle persone, la ricerca scientifica e tecnologica si è rivolta storicamente al maschio. I trattamenti disponibili per la dipendenza da sostanze, sono stati studiati in larga prevalenza sul maschio e l’efficacia e sicurezza è stata dimostrata sul sesso maschile. I risultati ottenuti sull’uomo sono stati quindi traslati alla donna, ma senza tenere conto delle differenze fra i due sessi/generi. L’interesse androcentrico della medicina nella storia è tale che anche negli ambiti della preclinica vengono studiati preferenzialmente gli animali di sesso maschile. Stupisce che ancora oggi, mentre ci si dedica alla ricerca di polimorfismi genetici che consentano la personalizzazione degli interventi, un marcatore genetico visibile a tutti quale è il sesso non goda di particolare considerazione. Al di là degli aspetti più strettamente biologici, l’attenzione alla salute della donna con problemi di dipendenza non può trascurare il complesso dei bisogni che sul piano individuale, psicologico, relazionale, dell’immagine e del ruolo sociale ne condizionano l’esistenza. È difficile che il complesso degli interventi necessari possa prescindere dall’esistenza di servizi sanitari e sociali, o meglio di network di servizi, capaci di farsi carico dei suddetti bisogni, di elaborare programmi di intervento personalizzati e di accompagnare le persone in percorsi terapeutici e di inclusione sociale. È evidente che la sfida riguarda l’equità di accesso ai servizi e la personalizzazione delle cure e che nel caso specifico non si tratta della sola implementazione di servizi e approcci. Qui la fattibilità non si scontra soltanto con fattori noti, quali quelli economici e organizzativi, ma anche e soprattutto con il contesto culturale. Con questo numero vogliamo richiamare l’attenzione dei nostri lettori sul tema, stimolando l’approfondimento degli aspetti storici, biologici, psicologici e sociali. Vogliamo dare il nostro contributo, in un ambito, come quello delle dipendenze, fortemente gravato dalla disapprovazione sociale, dallo stigma ed anche al suo interno dalla discriminazione. Vogliamo favorire l’estensione di un clima culturale utile all’emancipazione degli approcci e degli interventi, orientati alla correzione di aspetti macroscopici di disuguaglianza nella salute e all’equa distribuzione del benessere.