Il disturbo duale necessita di un nuovo sistema di trattamento?
Icro Maremmani
L’approccio medico al paziente con disturbo
duale (DD) è indubbiamente delicato a causa
del contesto culturale in cui questi pazienti si
trovano inseriti e che coinvolge due componenti,
quella psichiatrica e quella dell’addiction, che
non possono essere tenute separate. Affrontarle
separatamente, come di fatto avviene molto
spesso, non facilita certo un approccio scientifico
al DD, rendendo anche improbabile che questi
pazienti siano in grado di valutare quale sia il
servizio, fra quelli disponibili, più adatto al
trattamento del loro disturbo.
Quando i pazienti con DD si rivolgono a un
servizio ambulatoriale per le dipendenze
patologiche (SerD) spesso accade che la
manifestazione acuta di un disturbo psichiatrico
venga diagnosticata erroneamente come
indotta dalle sostanze o, al contrario, che
l’intossicazione o i sintomi di astinenza siano
interpretati erroneamente come appartenenti
a una malattia psichiatrica. In quest’ultimo
caso, i pazienti vengono solitamente subito
trasferiti ai servizi psichiatrici. Paradossalmente,
la stessa cosa accade con i pazienti psichiatrici
che si rivolgono ai servizi di psichiatria,
quando, riferito l’uso di sostanze o essendo
le manifestazioni psichiatriche riconducibili
all’assunzione recente di una sostanza, vengono
immediatamente trasferiti presso il SerD più
vicino. Il risultato potrebbe essere che il sistema
sanitario nazionale diventa un impedimento per
i pazienti che necessitano di un trattamento
specifico, piuttosto che un modo per offrire
loro strutture sanitarie adeguate. Un approccio
corretto ai pazienti con DD richiede non solo
che l’attenzione sia dedicata alle problematiche
specifiche di ciascun paziente, ma richiede anche
una crescente consapevolezza della continua
discrepanza tra il sistema sanitario così com'è
implementato, allo stato attuale, e i bisogni dei
pazienti con DD.
Diversi tipi di operatori lavorano insieme nei
servizi psichiatrici. Si tratta di dirigenti medici
di primo e secondo livello (psichiatri e nonpsichiatri
come consulenti), assistenti sociali,
psicologi, e altri, caso per caso. Le strategie di
trattamento variano tra i servizi e all’interno
dello stesso servizio. È fondamentale fornire
ai pazienti psichiatrici trattamenti integrati,
che comprendano la possibilità di una
ospedalizzazione, programmi riabilitativi e
residenziali, per soddisfare le esigenze derivanti
da condizioni sia acute che croniche. In alcuni
servizi psichiatrici, gli psicofarmaci sono usati
per trattare i disturbi psichiatrici e i DUS allo
stesso tempo. Il fatto è che la frequenza di
utilizzo di psicofarmaci non-prescritti, da parte
dei pazienti psichiatrici è generalmente bassa,
mentre i pazienti con DD tendono a fare uso nonmedico
di agenti altrimenti innocui, almeno in
fase acuta di malattia, come gli antidepressivi
sedativi triciclici e gli antipsicotici. I problemi
possono, quindi, derivare dalla prescrizione
incauta di psicofarmaci a pazienti inclini alla
dipendenza. Gli psichiatri dovrebbero estendere
la loro conoscenza dei problemi medici legati
all’uso di sostanze, mentre i medici dei SerD
dovrebbero prendersi la briga di aumentare
la loro conoscenza in psichiatria, in particolare
sull’uso degli psicofarmaci.
Come in psichiatria, anche per i pazienti
con DUS sono disponibili molte soluzioni
terapeutiche. Fra le più praticate possono essere
annoverati i trattamenti di mantenimento con
agonisti oppioidi e non-oppioidi, le comunità
terapeutiche, i programmi di disintossicazione
a breve e lungo termine e i programmi di
auto-aiuto, che spesso utilizzano principi di
base divergenti e possono essere discordanti
l’uno con l'altro. In qualche parte del mondo,
alcuni programmi richiedono la condizione
drug-free come indispensabile per iniziare un
trattamento farmacologico, mentre altri individuano,
in questa condizione, semplicemente il risultato
del trattamento a lungo termine. La terapia di
mantenimento con metadone o buprenorfina non
mira invariabilmente alla completa eliminazione del
consumo di eroina. L’uso controllato di eroina (HAT,
heroin assisted treatment) può essere necessario,
quando nessun altro programma abbia dato risultati
apprezzabili, purché il mantenimento metadonico
sia stato correttamente condotto. All’interno
dell’Unione Europea, il ruolo della HAT è, tuttavia,
trascurabile. Come una volta per il metadone, una
serie di preoccupazioni terapeutiche, di prevenzione,
di sicurezza sociale ed economiche circa i possibili
effetti negativi della HAT sono dibattute alla luce
delle evidenze della ricerca. Nessuna di queste
preoccupazioni è giustificata, ma la terapia con
HAT è ancora fortemente osteggiata, nonostante
abbia dato buoni risultati per i pazienti con
addiction all’eroina precedentemente resistenti al
trattamento.
Anche le équipe che lavorano nei SerD comprendono
le varie professionalità sopra ricordate per i servizi
psichiatrici. L’integrazione, secondo un approccio
biopsicosociale, di diverse competenze professionali,
dovrebbe essere posta al centro di qualsiasi servizio
preposto al contrasto delle dipendenze patologiche. I
farmaci sono attualmente usati per trattare i sintomi
di sovradosaggio e astinenza nei pazienti con DUS,
ma alcuni di questi farmaci, in particolare disulfiram,
naltrexone e farmaci oppioidi come metadone e
buprenorfina, sono efficaci anche sulla dipendenza.
I medici delle dipendenze sono spesso ben informati
sui farmaci psichiatrici, ma esiste un pregiudizio che
qualsiasi psicofarmaco possa indurre addiction.
Soprattutto nei paesi con unità psichiatriche e di
medicina delle dipendenze che operano separate,
molti medici delle dipendenze evitano di prescrivere
psicofarmaci, mentre dovrebbero essere in grado di
scegliere il tipo di psicofarmaco giusto al momento
giusto. Così non facendo, per i pazienti con DD non
trattati efficacemente per la loro malattia mentale in
un SerD, il rischio di recidiva è destinato a rimanere
elevato.
I pazienti con DD entrano comunemente in contatto
anche con i loro medici di medicina generale,
ma ricevono regolarmente solo un’attenzione
minore. In Italia, ad esempio, è probabile che i
medici di famiglia si occupino di pazienti con DD
prescrivendo psicofarmaci generici, come ansiolitici
e antidepressivi, ma non farmaci mirati all’addiction,
come disulfiram, naltrexone e soprattutto
metadone e buprenorfina, il cui uso è limitato
ai servizi specialistici. I medici di famiglia sono la
categoria di medici che è più incline a prescrivere
benzodiazepine come farmaci ansiolitici, sebbene le
benzodiazepine portino il più alto rischio di uso nonmedico.
In generale, i medici di famiglia sono più
preoccupati per le complicanze della dipendenza,
come il sovradosaggio, i sintomi di astinenza o i
problemi fisici, piuttosto che mirare a un intervento
che colpisca il nucleo della dipendenza. Sono solo
pochi i casi, in Italia, in cui i medici di famiglia sono
stati o sono coinvolti nel trattamento dei pazienti
affetti da DD.
In questa situazione terapeutica, comprendere
meglio i DD a livello biopsicosociale diventa
irrinunciabile, nel tentativo di indirizzare le
politiche sanitarie verso l’organizzazione di
servizi maggiormente adeguati alla co-esistenza,
nello stesso individuo, di malattie mentali e
addiction a varie sostanze. Superare il mito dei
servizi ‘solamente’ in rete, creando medici di
medicina generale con particolare interesse nelle
dipendenze, specialisti in psichiatria, medicina
delle dipendenze (attualmente NON presenti) con
nozioni comuni e specialisti del DD è un compito
da affrontare prioritariamente nel prossimo futuro.
Parallelamente, la costruzione di un sapere condiviso
(la medicina delle dipendenze) fra tutti gli operatori
sanitari dovrà muovere i primi passi nelle Università
italiane.